IL BUSINESS DEI RIFIUTI

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DioEsiste
view post Posted on 14/12/2011, 14:30     +1   -1




E' la sola industria pubblica "di successo" del Sud Italia. Produce denaro per i privati, appalti, posti di lavoro. Produce anche assunzioni clientelari, voto di scambio, accordi tra politica e camorra. E' l'industria napoletana della raccolta e smaltimento della "monnezza". Un viaggio al suo interno ci fa vedere come oggi sia sull'orlo del crac con conseguenze disastrose per tutti

La sprecopoli della "monnezza"
un affare da 4 miliardi di euro l'anno


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Quella di Napoli è l'unica area metropolitana d'Europa dove si spendono 180-190 euro a tonnellata per spedire i rifiuti fuori regione. E anche se la città oggi sembra libera dai sacchetti, i Palazzi stanno facendo i conti con il rischio che la spazzatura torni tra le strade. La differenziata entro fine anno arriverà al massimo al 20% e si discute ancora dell'inceneritore. Mentre l'Ue minaccia sanzioni, la criminalità resta l'unica a guadagnarciNAPOLI - Non cercate le montagne di rifiuti nel cuore di Napoli. La puzza di crisi si sente anche senza i sacchetti. Se l'Europa minaccia condanne all'Italia e multe salatissime all'emergenza campana è perché ne prevede il ritorno, in assenza di "pianificazione concreta". I Palazzi napoletani, anche in queste ore, fanno i conti con il rischio. Sanno che basta un minimo inciampo, a far tornare l'alluvione dell'immondizia e quel tanfo che sale dalle strade e ti prende alla gola, come il Natale di un anno fa, o di due anni fa, o a ritroso per diciotto anni. Ne sono una spia anche le tensioni appena esplose tra il neo ministro all'Ambiente Corrado Clini e il sindaco Luigi de Magistris. Con il primo che spinge per il progetto dell'inceneritore a Napoli e ipotizza l'invio dei militari per contrastare anche "regie criminali" e il primo cittadino che continua a ribadire il no al termovalorizzatore. E batte il pugno: "Le ecomafie non le scopre Clini, i soldati non servono e l'inceneritore a Napoli non si farà. La città ha già dato".

Eppure, è lo stesso sindaco che aveva puntato tutto sulla chimera differenziata - "al 70 per cento entro la fine dell'anno" - mentre Napoli chiuderà il 2011 con un modesto 20 per cento. Lentezza dovuta anche al blocco delle risorse destinate a quella raccolta, e mai arrivate, dalla Regione, dal Ministero e dalla stessa Unione europea. Né possono risolvere la crisi le agognate navi che salperanno per l'Olanda, i trasferimenti negli impianti di Rotterdam e Delfziyl, su cui il vicesindaco Tommaso Sodano, con il sindaco de Magistris, si stanno impegnando fin dal loro insediamento: i contratti sono pronti, saranno inviate complessivamente 200mila tonnellate e con risparmio di costi (105 invece delle 112 fissate dalla Provincia di Napoli) ma durerà soltanto un anno. E dopo?
Perché dalla fine "ufficiale" della gestione emergenziale nulla è cambiato struturalmente? Come mai nessuno ha provveduto a realizzare quegli impianti - discariche, un inceneritore, impianti di compostaggio - che avrebbero tardivamente completato il ciclo e reso la Campania autonoma?

Se, oggi, Napoli appare mediamente pulita, è perché la Puglia sta inghiottendo ogni giorno, da mesi, e con lauta ricompensa, circa mille tonnellate al giorno di rifiuti napoletani. Camion più leggeri viaggiano verso altrre regioni. Se la città non soffre ancora è perché resta aperta, solo per trenta giorni, la discarica di Terzigno. E perché funzionano, ancora per pochi mesi, gli sversatoi dell'entroterra campano: a San Tammaro (Caserta), Savignano Irpino (Avellino) e Sant'Arcangelo Trimonte (Benevento). E dopo? Su quali mercati si gioca la partita rifiuti? Quali sono le attività parallele che non hanno mai conosciuto crisi, grazie all'inestinguibile piaga dei trasferimenti, degli incendi e delle emergenze?

Un affare da 4 miliardi di euro. Eccola, l'unica "industria" pubblica del sud che, negli ultimi anni, ha continuato a produrre danaro privato e mercato del voto, appalti incontrollati e posti veri di (non) lavoro. Un'attività fiorente che da diciotto anni non chiude nemmeno di notte. Che, anzi, proprio al calare del buio riprende i suoi viaggi, fagocita chilometri e mari, in cerca di nuove discariche e buchi fuori regione. E' la fabbrica opaca e efficientissima dei rifiuti campani, unica area metropolitana in Europa dove si spendono, anche oggi, dai 170 ai 190 euro a tonnellata per spedire la pattumiera fuori regione. Dove smaltire i cassonetti bruciati costa mille euro a tonnellata, 8 volte il prezzo normale. E dove le passate crisi e le storiche clientele (di sinistra e di destra) hanno gonfiato gli organici delle società pubbliche incaricate di ripulire le strade della regione, che si ritrovano oggi con un lavoratore su tre in esubero. Una Caporetto occupazionale e finanziaria non meno grave delle ricorrenti ondate di sacchetti.

Tre giorni fa, di nuovo, sono tornate scene di rivolta e cassonetti rovesciati ai Quartieri Spagnoli, dopo uno sciopero imprevisto degli addetti alla rimozione. Tutto rientrato, di nuovo. E poi? A cinque anni e mezzo dal j'accuse del Presidente Giorgio Napolitano, la crisi è sempre dietro l'angolo. Era la vigilia dell'estate del 2006, il 20 giugno, quando il capo dello Stato, alla prima uscita "pubblica" a Napoli, affrontò "l'annosa questione dei rifiuti ancora penosamente irrisolta". E usò parole dure, ancora attualissime: "Occorre un'azione risoluta, senza cedere alla disinformazione e alla demagogia, contro cieche resistenze e decisioni improrogabili, e contro palesi illegalismi". Non c'è, da allora, chi abbia tramutato quelle parole in agire politico. Ma intanto, con quali sistemi, vantaggi personali e criminali, è stato tirato su il carrozzone che ora rischia di implodere?
 
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