Un mese di lavoro vale due polli per le albanesi prigioniere del kanun

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DioEsiste
view post Posted on 14/12/2011, 14:20     +1   -1




Un mese di lavoro vale due polli
per le albanesi prigioniere del kanun


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L'antico codice d'onore dell'Albania del Nord costringe in casa le donne imparentate con un assassino. E qualcuno ne approfitta per appaltargli con paghe da fame la fabbricazione di rosari che poi vengono venduti nelle strade attorno al Vaticano a trecento volte quel miserabile compenso. Non c'è reato, solo molta vergogna per uno sfruttamento destinato a creare oggetti di devozione.Nel Nord dell'Albania, a Skutari - una città di circa centomila abitanti dove la pioggia la fa quasi sempre da padrona e un raccolto centro storico dai colori accesi distoglie appena l'attenzione dalle piccole case grigie e dalle strade dissestate - vige ancora un antico codice d'onore, il Kanun. Questo sistema di leggi e comportamenti dall'origine antichissima e semisconosciuta (gli storici lo fanno risalire all'impero bizantino, ma tracce se ne trovano anche in precedenza), tramandato fino al Ventunesimo secolo soprattutto oralmente, prevede la vendetta. Questo significa che nelle zone settentrionali dell'Albania, dove la società è più arretrata rispetto al resto del Paese, se una famiglia subisce un assassinio gli uomini possono vendicarsi sui parenti dell'omicida e se non lo fanno si macchiano di infamia. I familiari fino al terzo grado di un omicida non hanno altra scelta che cambiare città, vendere tutto e rinchiudersi nella nuova casa nella speranza o di ottenere il perdono o di non essere mai più rintracciati dai vendicatori. Sembra prassi di un'altra epoca, in realtà solo pochi mesi fa un ragazzo è stato ucciso davanti agli occhi di testimoni silenziosi in un centralissimo bar della città.

A Skutari ci sono circa novanta famiglie costrette a fare i conti con il Kanun. Persi fra le viuzze di campagna, il vecchio stadio e tante casette con terreno e cancelli, vivono i Papleka: marito, moglie, un figlio e una figlia, raccolti nel salotto dove è appena arrivato in regalo un vecchio pc e dove il fumo delle innumerevoli sigarette va a impregnare moquette e carta da parati costellata dai ritratti di nonni e zii che non ci sono più. Tolte le scarpe e adagiati negli immancabili profondissimi divani, i Papleka raccontano come è cambiata la loro vita nell'arco di cinque anni, da quando cioè il Kanun per il gesto omicida di un loro cugino li ha costretti a lasciare casa e terreno sulle montagne d'origine per nascondersi fra i vicoli discreti di Skutari. Che non sia una vita facile lo si capisce dall'espressione dell'uomo, talmente mortificato dalla sua condizione di prigioniero ai domiciliari da non voler nemmeno presentarsi con il suo nome. Lo sguardo basso e una continua ricerca della nicotina sono la costante delle sue giornate, mentre il figlio va controvoglia a scuola e le donne si occupano dell'economia domestica, intesa sia come il quotidiano affaccendarsi che come lo sbarcare il lunario. Sedia di paglia per la mamma, cuscino in terra per la figlia, una busta di perline, filo di ferro e due paia di pinze: il necessario per montare un rosario. Anzi, non uno ma 144 da completare in quattro giorni.

"Prova a farli, sembra facile. Per la prima mezzora però", scherza la donna, anche lei restia a presentarsi con il proprio nome. Intreccia il filo fra le gambe meccanicamente, raccoglie perline da terra con la naturalezza di chi compie un gesto abituale, inforca gli occhiali e si mette a lavorare. Non conosce la liturgia del rosario, non è cattolica. Quello che ha fra le mani è solamente il mezzo grazie al quale riuscirà a comprare del pollo alla sua famiglia anche per questa settimana. Prima lavorava in una fabbrica di scarpe, poi un'allergia l'ha costretta ad andarsene ed è finita a fare la sarta in una fabbrica tessile che poco tempo dopo ha chiuso i battenti. Allora una cognata le ha prospettato quest'altra forma di guadagno e da due anni a questa parte quattro mattine alla settimana sono dedicate all'infilar perline. "All'inizio pensavo che non fosse faticoso, ma poi mi sono accorta che a lavoro finito mi fanno male le caviglie, la testa, mi bruciano gli occhi. Quando smetto - dice ridendo - non riesco nemmeno a vedere mio marito". Il quale però non riesce ad abbandonare i rimpianti per ricambiare l'ironia: "Sono un parassita. Prima avevo una casa, degli animali. Adesso non posso fare nulla".

Anna ha 35 anni ma, se chiedesse di indovinarli, difficilmente qualcuno si terrebbe così basso. Lunghissimi capelli, neri come i suoi vestiti, scelta obbligata dal lutto che l'accompagna dall'assassinio del marito fino alla morte. I ritratti del compagno ucciso campeggiano ovunque nel salotto zeppo di simbologia religiosa, un rosario ne ricopre uno. Anna e i suoi cinque figli sono vittime del Kanun: vedova e orfani dividono questo appartamento dove la stufa sostituisce i costosi riscaldamenti e dove gli spaghetti donati sono l'unico cibo quotidiano che possano permettersi. Un finto parquet è lì a ricordare che la casa deve ancora essere pagata e che un debito da centomila lek deve essere estinto. Mani senza unghie, un ginocchio ballerino e le dita gialle per via delle sigarette accese al ritmo di una ogni mezzora, sono i tre indizi che conducono al lavoro di Anna: fare rosari. Dalle nove di mattina alle tre di pomeriggio, poi un breve sonnellino prima di iniziare il lavoro di mamma e casalinga, supportata dai figli più grandi.

I pensieri sono molti, le ambizioni non proprio: "Io sono contenta di quello che faccio, vorrei solo che mi pagassero un po' di più. Una volta ho provato a chiederlo ai padroni, ma mi hanno risposto che posso sempre smettere quando voglio". Una richiesta esosa, quella di Anna: essere pagata 20 lek invece di 18 per ogni rosario finito, che tradotto in euro significa sette centesimi e un po' invece dei sette centesimi che prende adesso. Perché questo è quanto guadagnano le artigiane dei rosari: sette/otto centesimi a pezzo, per un totale di circa 17mila lek al mese, ossia giusto giusto due kilogrammi di pollo al mercato. Senza considerare che le pinze per lavorare costano circa 11mila lek, tanto che Anna se le è fatte portare dal fratello che vive a Firenze. Per Anna può essere una condizione accettabile, visto che Skutari offre poco più e che ci sono persone, come suo fratello o l'associazione italiana Giovanni XXIII, che si occupano di lei. Qualcuno però ha pensato che quelle donne costrette in casa potessero essere un'occasione e le ha trasformate in manodopera a basso costo per oggetti da preghiera convertiti in beni commerciali.
 
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