Aerosmith

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Il Minchione Di Capital City
view post Posted on 26/10/2011, 23:09     +1   -1





Gli Aerosmith (Boston, 1970) sono un ottimo gruppo di revival hard-rock. Non trovano altro senso di esistere se non nell'avere a inizio anni 70 ripreso l'hard-rock dei Deep Purple di fine anni 60 - all'epoca già sorpassato - e di averlo pedissequamente riproposto per oltre 30 anni, tutt'al più accentuando le basi blues dell'hard-rock (vedi Rolling Stones e Led Zeppelin). Ovviamente, il tutto, previa traduzione americana di stilemi inglesi (l'hard-rock), a loro volta basati su una secolare tradizione americana (il blues di Chicago).
E siccome nella musica popolare, in quanto popolare, trovano successo sempre le cose più semplici, immediate e retoriche, gli Aerosmith sono stati tra i gruppi più pagati e che più hanno venduto di sempre. In particolare, sono un'istituzione americana (negli Usa pare abbiano venduto 60 milioni di Lp: più di Rolling Stones, Springsteen, U2 e Madonna).
Del resto, gli Aerosmith sono una macchina da soldi più per contingenza che per premeditazione. Va loro riconosciuto, infatti, di essere talmente reazionari, feticisti, miopi e conservatori che, indipendentemente dalle vendite, avrebbero comunque speso la loro vita in sex drugs and rock n'roll - d'altra parte (come testimoniano ampiamente i testi delle loro canzoni) non conoscono né altre parole né intendono altri concetti.

In cinque anni - dal 1973 al 1977 - gli Aerosmith fanno uscire ben 5 album. Non solo è sbagliato pretendere in seguito il diversificarsi di un'operazione che fin dall'inizio si vuole fine a se stessa, ma anche il credere questo a proposito dei primi cinque lavori, l'uno la variazione sul tema dell'altro. Non è colpa degli Aerosmith. Non ci sono colpe. L'hard-rock è in buona parte questo.
In oltre trent'anni di carriera, il numero degli album salirà a 14.
Anche la line-up del gruppo rimarrà pressoché sempre la stessa: forse solo i Rolling Stones possono vantare una longevità maggiore. Il leader e cantante è Steven Tyler, nato nel 1948 a New York. Animale da palco sincero e sfrontato, nato e dotato per fare quello che fa, è la quintessenza del macho hard-rock. Ha il blues nel sangue come Jagger, ma senza quel surplus di gusto ed estetica; è insomma spartano come gli americani ci si immaginano e non spocchioso come si suol dire degli inglesi. Abbiamo poi alle due chitarre soliste Joe Perry e Brad Whitford; e infine Tom Hamilton al basso e Joey Kramer alla batteria. Tutti con il phisique du role e l'esperienza musicale del caso.

Il primo omonimo album Aerosmith del 1973 è assai importante, con gli album che subito lo seguiranno, per due motivi. Il primo è che istituzionalizza di fatto l'hard-rock negli Stati Uniti, genere che, fino a quel momento, nelle sue forme più compiute e classiche era stato qualcosa d'importazione dall'Inghilterra. Il secondo motivo è che contribuisce, assieme all'opera reazionaria dei Kiss, a traghettare il genere dalla prima fondazione dei Deep Purple sino alla rifondazione che di lì a poco compiranno gli Ac/Dc.
In un contesto di talora troppo marcato revival rhythm and blues, spicca il primo e maggiore classico del gruppo: "Dream On". Ballata melliflua sulla falsariga di "Stairway To Heaven" dei Led Zeppelin, riesce ad acquisire un carattere e soprattutto un'eleganza, per essere hard-rock, mai più raggiunte da questo gruppo e che sarà piaciuta ai Queen. Ma il brano è da considerasi un classico in generale. Negli Usa come singolo raggiungerà il numero 59 all'uscita e il 6 tre anni dopo. Per il resto ricordiamo "Walking The Dog", che con il suo piglio ruvido potrà anticipare qualcosa degli Ac/Dc.
Get Your Wings (1974) registra una maturazione e decisione complessiva, anche se manca il brano d'almanacco. Entrerà in classifica al numero 74.

Toys In The Attic (1975) irrobustisce e smalizia ulteriormente il suono. I riff scolpiti sulla pietra di "Walk This Way", quei riff che sono l'hard-rock, e la erotomania di "Sweet Emotion" costituiscono le coordinate di questo lavoro e fanno perdonare scivoloni, seppur voluti, come il revival rockabilly di "Big Ten Inch Record" e la ballata di troppo "You See Me Crying". Assai importante poi il brano "Round And Round" la cui influenza, tramite il pesantissimo riff che lo caratterizza, sull'heavy-metal dei Metallica non sarà mai sottolineata abbastanza. Helfied stesso ha del resto più volte riconosciuto i suoi debiti verso i vecchi blues-men di Boston.

Rocks (1976), il primo bestseller degli Aerosmith, segna il culmine del loro percorso all'interno del rhythm and blues verso una sua esasperazione e fortificazione. La pesantezza di "Back In The Saddle", la velocità di "Rats In The Cellar", le sciabolate di "Nobody's Fault" non possono che guardare in direzione del metal, anche se i tempi sono ormai maturi perché altri, vedi Judas Priest e Rainbow, diano la sterzata definitiva a questo genere. "Get The Lead Out" è il brano prototipo del gruppo, quello che recliclerà per una vita il passo caracollante di "Walk This Way". Mentre "Sick As A Dog" e "Home Tonight" sono le solite cose di troppo: un coretto Mersey-beat vecchio più d'un decennio e una serenata raccapricciante.

Draw The Line (1977) vede ormai un gruppo nel pieno della sua maturità, come attestano i numeri funambolici di "Critical Mass" e le iniezioni di buon sangue di "Get It Up". Da ora in poi alcuni dei brani migliori del gruppo saranno scritti dai suoi produttori, come è il caso del primo che abbiamo citato, che porta la firma di Douglas.

Night In The Ruts (1979) non dà alcun segno di cedimento e vanta il secondo grande brano degli Aerosmith: "Chiquita", apparentemente semplice e scanzonato, ma in realtà capace di colpire nel segno, dispensando notevoli dosi di compassione e ottimismo post-trauma. Svariate le cover: dagli Yardbirds ("Think About It") e soprattutto dal girl-group degli anni Sessanta che Tyler avrà seguito da giovane, quello delle newyorkesi Shangri Las. La versione della loro "Remember" dimostra che il mestiere di fare cover è proprio quello che si addice agli Aerosmith; d'altronde questi fanno sempre cover, essendo anche i brani che scrivono di proprio pugno, variazioni sul tema di brani tradizionali. Ma in questo, va ribadito, non c'è nulla di male. Per tutta la prima metà del Novecento la musica popolare ha funzionato più che altro così, con il compositore da una parte e l'interprete dall'altra, tanto più nella cultura propria degli Aerosmith, il blues.
Si noti come gli Aerosmith rappresentino davvero uno dei gruppi hard-rock per eccellenza; come tali, passano indenni dalla temperie punk, non fraintendendola, ma ignorandola proprio: dimostrando così di vivere in un altro mondo o in un'altra epoca.

Su Rock In A Hard Place (1982) senza i due chitarristi originali, rimpiazzati in qualche modo da Jimmy Crespo e Rick Dufay, Tyler non può che fare opera di contenimento. La composizione dei brani non è, come a volte si è fatto credere, al di sotto degli standard del gruppo, anzi. Il problema è che, essendo già questa elementare come il genere vuole, e contando soprattutto il come si suona e non il che cosa, è chiaro che un simile cambiamento di line-up non può che compromettere quell'alchimia d'intesa e partecipazione che da sola reggeva le redini di tutto il discorso impostato da un gruppo tipicamente da presa diretta come gli Aerosmith.

Messa pace in famiglia, Done With Mirrors (1985) presenta i soliti Aerosmith, ma con un suono appesantito e squadrato, con insomma aumentato il rhythm e diminuito il blues. Sarà il preludio a quanto da qui in poi il gruppo farà. È anzi questo, formalmente, l'album chiave per capire il sound degli Aerosmith, almeno per i prossimi due, più celebrati, dischi.

Permanent Vacation (1987) può così inanellare le concitate "Heart's Done Time" e "Girls Keeps Coming Apart", oltre al morboso e compiaciuto hit "Rag Doll".
Pump (1989) è il culmine del percorso degli anni Ottanta, come Rocks lo era stato per i Settanta. Lo schema è il medesimo di Permanent Vacation: da una parte le sassaiole teppistiche (l'accoppiata "Hoodoo/Voodoo Medicine Man" e quella "Dulcimer Stomp/The Other Side"), dall'altra il lascivo singolo di turno ("Love In An Elevator"). In più, abbiamo una ballata che sfugge alla retorica come "Jane's Got A Gun".

Gli anni Novanta sono per gli Aerosmith gli anni del successo davvero planetario, dei riconoscimenti, delle soddisfazioni da ogni punto di vista. Non sono delle icone, non lo sono mai stati; la gente non va in giro con le loro magliette o i loro motti - che del resto non hanno; né, tanto meno tra le nuove leve, qualcuno elegge Tyler a modello di vita. Proprio per questo, innocui come sono, dediti solo al sesso e a qualche sniffatina, sono ben accetti dalla società e possono penetrare ovunque, in rotazione fissa su radio e televisioni. In tutto il decennio producono due dischi, che restano saldamente al numero 1 di Billboard e che sono caratterizzati da un suono per metà più pesante di quello degli anni Settanta e per metà più melodico di quello degli anni Ottanta. E questi sono gli ingredienti giusti per far presa sul pubblico. I brani proposti sono per lo più sentiti e risentiti, ma comunque approcciati con l'usuale naturalezza e passione. Considerato il genere e il gruppo in questione, possiamo dire che l'unico problema di questi lavori è di essere eccessivamente lunghi: oltre un'ora; che è troppo per chi nacque con i soliti classici otto brani in 35 minuti. Con una opportuna discernita e riducendoli di una mezz'oretta se ne guadagnerebbe sotto tutti gli aspetti.

Il nugolo di singoli di Get A Grip (1993) vide le due ansiose e carnali serenate "Cryin" e "Crazy" - simili anche nel titolo - che sono l'essenzialità di almeno un terzo della musica del gruppo. L'altro terzo è rappresentato dalla ballata epica e magniloquente - "Amazing" si chiama quella in questione. Ed un ultimo terzo da rhythm and blues granitici: sia nella versione reazionaria ("Eat The Rich") che, relativamente, d'avanguardia ("Livin' On The Edge").
Nine Lives (1997) è la fotocopia del precedente, ma su di una carta di colore diverso. I rhythm and blues granitici sono "Nine Lives" (il reazionario - e uno dei loro più espressivi) e "Something's Gotta Give" (il più arrangiato a novelty); la ballata romantica è "Hole In My Soul"; le serenate, una stravagante e riuscita "Pink" e una mielosa "Kiss Your Past Goodbye".

Gli anni Duemila, dopo il singolo del '98 "I Don t Want To Miss A Thing" (colonna sonora del film "Armageddon", di cui rispecchia tutta la retorica americana) che rimane uno dei più venduti di sempre e corona il successo di tutta una carriera, registrano una lieve flessione di consensi o se non altro accennano a un disinteresse del pubblico.
Comunque l'album Just Push Play (2001), con la potente e melodica "Jaded" e l'ennesima ballata epica "Fly Away From Here", non ha nulla di più o di meno dei lavori precedenti.

Infine, Honkin' On Bobo (2004) potrebbe essere anche il risultato migliore della band. Perché è una serie di cover blues e così, da una parte, indica che oggigiorno la cosa forse più onesta in campo rock o para-rock è fare cover, dall'altra consente al gruppo di esprimersi al meglio e dimostrare ancora una volta quello che è: un'esemplare band di session-man stagionati, ideali per suonare in un palco di un blues-club.
 
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